Chiara Negrello
Chiara Negrello (1995) è fotografa documentarista e Canon Ambassador. Inizia a lavorare come fotogiornalista dopo aver frequentato l'International Center of Photography di New York sostenuta dalla borsa di studio assegnata da Reuters. Attraverso foto e video, con uno sguardo particolare rivolto alla sfera femminile, Chiara cattura momenti intimi di persone che affrontano disuguaglianze e ingiustizie. Il suo scopo è quello di suscitare empatia negli spettatori e spingere a riflettere sulla nostra umanità condivisa. I lavori di Chiara sono stati pubblicati da magazine come The New York Times, National Geographic, The Washington Post, del Spiegel ed esposti in mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Chiara insegna in seminari di fotografia e narrazione multimediale, ed è parte di programmi educativi in partnership con Canon Italia e Europa. Attualmente sta sviluppando progetti personali e commissionati nelle Filippine, dove è basata.

Caring for our past
“Caring for our past” racconta la comunità delle badanti ucraine in Italia e che cosa significhi prendersi cura di uno sconosciuto, mentre le persone che ami di più vivono in guerra. Questo progetto, però, coinvolge anche la storia della mia famiglia e inizia tra le mura di casa mia, prima che la Russia invadesse l’Ucraina. Nel 2020 mia nonna si ammala di Covid-19 ed è costretta a passare in ospedale tre mesi che la debilitano al punto da avere bisogno di assistenza, una volta tornata a casa. È così che la mia vita incrocia quella di Lyubov, la badante ucraina assunta dalla mia famiglia per prendersi cura della nonna. Interessata alle sue scelte di vita come madre migrante, e al suo nuovo ruolo nella mia famiglia, inizio a passare del tempo con lei e a documentare la sua quotidianità. Questa esperienza mi coinvolge al tal punto che decido di includere nei miei scatti la comunità ucraina, dove Lyubov mi ha introdotta. Lo scoppio del conflitto travolge in qualche modo anche la mia famiglia poiché la figlia e la nipote di Lyubov vengono ospitate a casa di mia nonna, dopo la loro fuga dall’Ucraina: le ragazze e i bambini erano gli unici ad avere il permesso di fuggire dalla guerra. È così che per qualche mese quattro generazioni di donne di due diverse nazionalità si sono trovate a convivere in un appartamento di 50 metri quadrati, con i traumi dei momenti vissuti in guerra, le ansie di un conflitto in corso e le diverse necessità di bambini e anziani. Questa convivenza è stata un alternarsi di momenti di grande gioia e di grandi tensioni. Dopo una breve pausa da questo periodo intenso, supportata dalla Alex Hillman Foundation Fellowship riprendo a documentare la vita di diverse donne della comunità ucraina tra Rovigo, Bologna e Milano, raccontando per più di un anno le difficoltà del vivere un conflitto a distanza. Prima dell'invasione russa, tra gli Stati membri dell'Unione Europea, l'Italia ospitava una delle più grandi comunità di persone di origine ucraina, composta in gran parte da donne impiegate nei servizi di assistenza per gli anziani. La professione della badante è tra gli ultimi posti nel mercato del lavoro, anche se la maggior parte di loro ha un buon livello di istruzione e molte erano lavoratrici qualificate prima di emigrare. La loro esperienza lavorativa è caratterizzata da isolamento, subordinazione e stress emotivo. Molte assistenti domiciliari sono a stretto contatto 24 ore su 24 con la persona di cui si prendono cura. Sono presenti nei momenti più vulnerabili dell'anziano: lo cambiano, lo lavano, gli danno da mangiare. Vivono le case dei loro datori di lavoro come se ne avessero sempre fatto parte, dormendo nelle vecchie stanze dei f igli e spostandosi da un’abitazione all'altra mentre le vecchie foto di famiglie appese alle pareti osservano i loro movimenti. Si ritrovano ad adattare il loro spazio personale a quello offerto dalla casa che le ospita, vivendo in un ambiente che chiamano "casa" ma che proprio casa non è. Le camere da letto diventano i loro rifugi e le giornate sono scandite dal telefono che squilla e dagli ultimi aggiornamenti sulle zone sotto attacco, sempre in ansia per la paura che i loro familiari e amici possano essere colpiti. Quando si parla di guerra o di conflitto si usano parole come invasione, confine, perdita, compromesso, ritiro, irruzione. A loro modo, anche le badanti sperimentano questi termini nella loro vita quotidiana: invasione dello spazio personale fisico ed emotivo, negoziazione tra le due parti, perdita della propria intimità e ritiro dalla patria e dalla famiglia. Vivono una guerra da lontano e affrontano un conflitto interno. Un cambiamento silenzioso si è imposto nella mia vita e in quella della mia famiglia. Una persona esterna, inizialmente estraneo, ha cominciato a invadere i nostri spazi, alterando l’equilibrio quotidiano. La gestione della casa è diventata terreno di continui adattamenti, soprattutto quando un nucleo nuovo ha fatto il suo ingresso. È stato un processo di ridefinizione, anche dei confini più intimi. E, come se fosse la chiusura di un ciclo, la perdita di mia nonna nel cuore dello svolgimento del progetto, ha segnato un punto di incontro nel lutto.
Chiara Negrello