© Maria Giulia Trombini
Midway: between past and future
Il tema della prima edizione di Fiumefreddo Photo Festival è Midway: between past and future.
Vogliamo affrontare l’ineluttabilità del tempo provando a vincolarla, per quanto possibile, a punti saldi duraturi. Tratti di discontinuità che raccontino il momento corrente inserendolo in una cornice di prospettiva, che rinnovino l’attenzione su ciò che è ancora troppo prezioso per andare perso, che traccino profili di futuri possibili attualizzandone la suggestione.
Gli ultimi due anni tremendi, imprevedibili e intensi restituiscono in modo chiaro la misura della turbolenza: unico innesto di imprevedibilità capace di increspare il flusso lineare del tempo convenzionale. Le profonde mutazioni sociali, politiche ed economiche rimettono in discussione ciò che fino a poco prima era il teorema assodato.
In questo contesto lo sguardo critico, creativo e sensibile del fotografo deve proporre approfondimenti originali e stimolanti attraverso racconti che possano fornire inedite chiavi di lettura riguardo i cambiamenti epocali di cui sopra.
Pertanto ricerchiamo storie di passato, presente e futuro dal taglio fortemente emozionale.
Vincitore Open Call 2022
Bianca Maldini
Una volta qualcuno mi disse
Questo progetto nasce da una ricerca personale dell’incredibile, dell’irrazionale, del flusso invisibile che determina la fascinazione per l’ancestrale. Non è sulla necessità di credere di nuovo, ma piuttosto su quella di ricordare perché si è creduto, quali dinamiche abbiano portato allo sviluppo di credenze popolari e dove risiedano le origini di esse. Un parallelo storico sottovalutato che ha lasciato ai bambini una lezione per adulti.
La discesa in marina è quel fenomeno, sviluppatosi negli anni ‘60, che vide i paesi della Calabria montana spostare la costruzione di nuovi complessi abitativi sulla costa, con lo scopo di seguire lo sviluppo economico e sociale che cominciava a connotare il meridione come terra di turismo balneare. L’abbandono dei paesi natii, delle pietre, delle mulattiere, dei pascoli e delle montagne è sentito da molti come momento cardine nel processo di perdita della memoria collettiva, delle credenze pagane, della spiritualità panica che prima permeavano il territorio.
“Una volta qualcuno mi disse”esplora il confine tra fantasia e realtà all’origine delle fiabe e delle credenze popolari. Durante un viaggio in Calabria ho raccolto ricordi e memorie nelle quali il sangue viene individuato come elemento potente. Il suo ruolo di indicatore pratico di vita, storia e legami assoluti lo rende capace di esercitare influenza sul libero arbitrio, sui cicli di fertilità stagionale e sulle ragioni di vita e morte.
Riconoscere potere ad elementi naturali come l’acqua e il sangue nella cultura contadina dell’Italia meridionale era un’azione pragmatica di comprensione del circostante. La magia e chi la esercitava, gli incantesimi, le pozioni, i miracoli hanno sede in una capacità di distinzione e gerarchizzazione delle dinamiche naturali e dei flussi vitali e organici.
Vivere in un mondo pieno di risposte appiattisce la possibilità di visione e di immaginazione. L’azione di ricerca del fiabesco e del potere magico nel mio quotidiano vuole mostrare rispetto per le storie e le culture che stanno scomparendo nel territorio, cancellate dalla corsa alla modernizzazione, durante la quale la necessità di reale e concretezza rischia sia la perdita dell’immaginifico, che delle dinamiche di relazione con il circostante dettate da un coinvolgimento diretto.
Premio Speciale “Fotografare”
Chiara Ernandes
Still Birth
Sono nata morta l’8 agosto del 1989. Cianotica e ipotonica sono stata intubata e rianimata con un massaggio cardiaco: al 5° minuto i miei valori vitali si sono stabilizzati. Negli anni questo evento ha assunto per me significati diversi, collocandosi sempre in un angolo del mio corpo che ne custodiva il segreto, le ragioni assolute, le domande senza risposte. Ha legittimato le mie stranezze, ne ha difeso i miei limiti, ha esasperato la mia disperazione e la mia diversità, la mia lontananza dal mondo, ha sostenuto la mia disobbedienza. Poi ho sentito la necessità di cercarmi, di dichiarare a me stessa che esistevo: ho cominciato a chiedere al mio corpo di ricordarsi dove era stato, che lingua aveva parlato mentre cercava di cominciare ad esistere. Mi sono vestita da speleologa, da astronauta, da palombaro, da scienziata, da ricercatrice: sono entrata nei miei crateri siderali, nelle mie calcificazioni rocciose, nella dimensione fusionale che assume il tempo quando non esiste. Mi sono avvistata sparpagliata nella luce, mi sono confusa in una pietra, mi sono nascosta dentro mia madre da cui non poteva esistere separazione. Ho cominciato dalla morte per contraddizione.
3°, 4° e 5° posto
Francesca Corriga
Rapide fughe
Rapide Fughe è una collezione di fotografie in bianco e nero scattate durante gli scorsi anni in Sardegna, è inoltre una trasposizione di incubi e sogni personali. Con questo lavoro Francesca Corriga vuole rappresentare la sua personale esperienza attraverso il paesaggio, in un’isola accogliente e spigolosa allo stesso tempo, i suoi miti e leggende; nel tentativo di raccontare un mondo arcaico a cui gli abitanti ancora oggi si sentono legati in modo atavico. La serie di fotografie si fa portavoce della sua pratica continua, quella in cui l’azione del camminare attraverso il territorio e le stagioni definisce e delinea una visione personale dell’isola. L’autrice, osservando ciò che la circonda, prova a creare una connessione con il paesaggio e i suoi elementi costitutivi, nel tentativo di catturare e fermare suoni, profumi e sensazioni. Un ritorno ai principi della fotografia, alla luce e al soggetto da riprendere, allo spazio che si fa prima luogo e poi paesaggio, un gioco in cui unico scopo è il gioco stesso, con la naturalezza di chi non ha nulla da spiegare ma molto da raccontare.
Maria Giulia Trombini
My name is Nico, a love story
Le persone transgender in Italia stanno affrontando sfide culturalmente e politicamente determinate. Secondo i dati forniti da Rainbow Europe, l’Italia è al 35esimo posto su 49 paesi europei per quanto riguarda i diritti della comunità LGBTQ+. Attraversare il viaggio di una persona che sta costruendo se stessa, può spingerci a riconsiderare la rete culturale che rende il suo percorso incerto e doloroso? My Name is Nico mira a costruire un ritratto intimo del mio amico d’infanzia Nico, in transizione F to M. Il progetto esplora il diritto all’affermazione di identità di genere attraverso uno sguardo intimo sulla vita di Nico: il racconto della sua vita circondato dagli amici, dalla famiglia, dall’ incertezza e dalla gioia è una sfida all’idea che alle persone LGBTQ+ siano negati eguali diritti.Ho seguito Nico nella sua vita quotidiana e ho rappresentato visivamente ciò che mi ha raccontato riguardo il suo percorso di crescita e di costruzione identitaria. Abbiamo esplorato insieme le sue radici e il suo bisogno di rimanere coerente con quella che Nico chiama «la mia natura». Il diritto di essere se stessi è inalienabile e così ho voluto raccontare la scelta di Nico di essere se stesso. L’intero progetto è realizzato in stretta collaborazione con Nico, che dice: «in Italia ci si nutre di uno stereotipo per classificare qualcosa che in realtà non si conosce, le persone trans sono spesso viste quasi come degli alieni che vivono in un altro mondo.»Così lo scopo del progetto è quello di restituire una storia intima con l’intento di creare empatia e di conseguenza identificazione.
Alexandre Silberman
Differences & Repetitions
Istituito nel 1968 allo scopo di frammentare la “cintura rossa” dell’Île-de-France, il dipartimento di Seine-Saint-Denis è stato costituito in modo da essere contemporaneamente legato e isolato da Parigi. Ideologicamente diviso dalla capitale, lo era anche demograficamente, economicamente e culturalmente, pur rimanendo “la periferia di”. In opposizione al patrimonio immutabile di Parigi, l’area ha affermato la propria identità attraverso la sua eterogeneità, la pluralità delle sue voci e la radicalità delle sue mutazioni.